
Roma, 20 ottobre 1993. Il cinema italiano non aveva il sonoro e nemmeno il colore quando Lyda Borelli calcava le scene dei grandi film. Erano i tempi della prima guerra mondiale, tempi di attrici languide e frementi, di pellicole ispirate ai romanzi di Oscar Wilde o a quelli di Gabriele D’Annunzio o di Fogazzaro. Film dimenticati, vecchi fotogrammi sbiaditi, che il Museo Internazionale del Cinema e dello Spettacolo ha recuperato per proporli a partire da ieri, fino a sabato, all’attenzione dei cinefili romani. Presso l’Accademia di Romania (dalle 15,30 alle 20 in piazza de José de San Martin, 1) e il cineclub Azzurro Méliès (dalle 21, via Faà di Bruno, 8) verranno proiettati circa venticinque film (in alcuni casi si tratterà di brevi sequenze) in omaggio alle eroine del cinema del silenzio: non solo Lyda Borelli ma anche Francesca Bertini, Soava Gallone, Italia Almirante Manzini, Eleonora Duse, Maria Jacobini.
Ha inaugurato la rassegna, ieri mattina, la proiezione dell’unica copia esistente di Fior di male, un film in versione olandese, girato nel 1915, interprete una divina Lyda Borelli (…) A contemplare la contessa Cini sullo schermo della sala dell’Accademia di Romania, c’erano in prima fila i suoi eredi diretti, ovvero i nipoti della principessa Mafalda di Savoia Aosta. Già perché la prima diva del cinema muto italiano, sposa del conte Cini nel 1918, vantava nobili discendenze: era la prozia della principessa Mafalda e Bianca di Savoia Aosta. E a dire il vero una certa regalità la documentano anche tutte quelle sue foto esposte in un’altra sala dell’Accademia rumena, insieme a manifesti, carteggi e abiti di scena delle primedonne del cinema muto. Dunque, una rassegna cinematografica, una mostra e anche una serie di incontri di studio per celebrare le stelle degli esordi della cinematografia. « Un’iniziativa — ha affermato il direttore del Museo del Cinema e dello Spettacolo José Pantieri — che vuole attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’importanza del cinema muto e sulla necessità di non prediligere perfino nelle sedi legislative solo l’aspetto mercantile del cinema ». Quasi un appello disperato lanciato da Pantieri, per un’istituzione, la sua, che ha da 30 anni una sede a Parigi e non trova spazi in quella che per antonomasia può definirsi la città del cinema, ovvero Roma. Un sos per i film d’epoca (e non solo) che, lanciato al fianco di Monica Vitti, è riuscito quasi come un dovere irrinunciabile per chi di cinema si occupa.
Per i ricordi della diva di oggi, di una delle interpreti femminili rappresentative della cinematografia made in Italy. « Il cinema? Una dimensione terapeutica. Non l’ho mai fatto per il desiderio di apparire ma solo perché ho scoperto che era una necessità — confessa la Vitti —. Ad un certo punto della mia vita ho capito che era un bellissimo modo di stare con gli altri. » (…)
Donata Marrazzo
(Il Messaggero)