José Pantieri sul video per “Naso finto”

José Pantieri
José Pantieri nella sua “caccia alla mosca” (Naso finto, Rai 1963)

4 settembre 1963. Sabato 7 settembre apparirà sul video, durante la trasmissione Naso finto, il battagliero José Pantieri per presentare al pubblico italiano alcuni suoi “gags comici d’avanguardia” sfornati dalla sua Usine à gags di Parigi (la fabbrica delle trovate) che intende riportarsi alla comicità pura di Chaplin, Keaton e altri così come ci ha ampiamente illustrato in occasione dell’ottavo festival comico di Bordighera al quale aveva partecipato in qualità di osservatore ripromettendosi, il prossimo anno, di partecipare con alcuni suoi cortometraggi.

Domenica 8 settembre 1963. L’ultima puntata di Naso finto, ieri sera, era dedicata all’umorismo surreale. Marisa Del Frate e Paolo Ferrari hanno ricordato Anton Germano Rossi e le sue fulminee contro-novelle, come quella del “barbiere famoso” o anche Salvador Dalí e i suoi dipinti. Il corpo di ballo ha dato vita a un quadro surreale appunto del pittore spagnolo, intitolato: Cavoli e biciclette, per il quale anche la regia si è messa a mandare in onda bizzarre immagini oblique.

Stramba e arguta la scenetta intitolata: Quando l’amore invecchia, interpretata dalla Del Frate, da Ferrari e da Enrico Viarisio. Erminio Macario ha presentato Pierrot ma il suo umorismo non ci ha divertito: forse perché è superato. Dal 1935 ad oggi, sono trascorsi troppi anni. Fiacco anche lo sketch ispirato ad una storiella di Alphonse Allais. José Pantieri, truccato alla perfezione e con una mimica irresistibile, ha divertito nella sua “caccia alla mosca”.

Marisa Del Frate ha parodiato Renato Rascel nei panni del cadetto dei corazzieri. La brava attrice non delude mai nelle sue imitazioni.

Guglielmo Zucconi ha presentato l’umorista Cesare Zavattini anche quale autore di “storielle”. Insieme i due ne hanno raccontato alcune tra le più conosciute. Uno sketch tratto appunto da un libro di Zavattini è stato interpretato da un numeroso gruppo di attori: era intitolato Gara di matematica. Essi sono stati impegnati in una divertente gara di numerazione. Erano i rappresentanti di tutto un mondo.

(dai quotidiani L’Italia e il Resto del Carlino)

Fabbrica delle trovate per i film al festival di Bordighera

Bordighera 16 marzo 1963. Con No limit diretto da quel Monty Banks, scomparso nel ’50, che fu anche attore comico e che in Italia era conosciuto col soprannome di Birillo, inizia domattina la retrospettiva di questo Ottavo Festival del Film Comico Umoristico, dedicata, con felice scelta, al cinema sorridente inglese, dal 1930 al 1950. Sono in tutto sei pellicole, che illustrano l’evoluzione del cinema comico inglese, accostando alcuni dei caposaldi di questo fertilissimo humour (…).

Con la retrospettiva, ordinata da Claudio Bertieri, il Festival torna a quella purezza cinematografica che José Pantieri, un giovane attore italiano da molti anni residente a Parigi, ha oggi difeso vivamente, nel corso di una polemica conferenza stampa. Pantieri, dunque, ha dato vita, nella capitale francese, ad una usine à gags, cioè ad una fabbrica delle trovate che si si ripropone di tornare al linguaggio cinematografico dell’epoca del muto, ad una espressione artistica più pura, in cu abbia valore, più che la parola, l’azione.

«Perché, egli si è chiesto, i films di Jacques Tati hanno fatto il giro del mondo, riscuotendo ovunque applausi e successi? Perché la sua comicità è essenzialmente visiva, affidata cioè ad una serie di gags, di trovate, comprensibili a tutti, ma non per questo puerili o banali».

È nata così, da questa conferenza stampa, una vivace discussione sul cinema comico-umoristico, che prelude al convegno che inizierà lunedì sul tema Cinema e umorismo.

La usine à gag di José Pantieri ha vinto la sua prima grossa battaglia col film di Pierre Étaix — che di questo gruppo fa parte — Le soupirant, vincitore del Prix Delluc (il Goncourt del cinema) e che in Italia sta per uscire col titolo Io e le donne: abbiamo già avuto occasione di accennare a questa pellicola, che doveva anche presentarsi alla Rassegna di Bordighera, e pertanto non ci ripeteremo. Il suo successo in Francia è stato strepitoso, ed in Italia non sarà certamente inferiore.

Romano Maccario
(L’Italia)

Bordighera 17 marzo, notte. È arrivato da Parigi un giovanotto italiano deciso a muovere all’attacco dell’attuale cinema umoristico. Si chiama José Pantieri e nella capitale francese ha dato vita, assieme a un grupetto di entusiasti, alla Associazione internazionale del film comico d’arte. Il nostro giornale, al quale José Pantieri si è protestato pubblicamente riconoscente gli ha dedicato lo scorso anno un lungo articolo. La guerra ai registi e agli attori d’oggigiorno (compressi quelli che concorrono a Bordighera all’Ulivo d’oro, è stata dichiarata da Pantieri nel corso di un’animata conferenza stampa svoltasi nel Palazzo del Parco. Egli ha esposto le sue idee con trascinante foga oratoria. Ha cominciato col dire che la comicità cinematografica deve nettamente distinguersi da quella teatrale e letteraria. Ha tuttavia citato filosofi e romanzieri, fra cui Aristotele, Bergson e Rabelais. Di quest’ultimo ha ricordato la sentenza secondo cui «l’uomo non può fare a meno di ridere».

Ma come far ridere nel mondo moderno roso dalla noia, dal conformismo e dalla incomunicabilità? Il disinvolto esponente della nouvelle vaghe umoristica ha pronti i rimedi. Bisogna innanzitutto conoscere i sacri testi della comicità cinematografica del passato, costituiti, a suo parere, dai cortometraggi di Charlie Chaplin, di Harry Langdon e di Buster Keaton. Questi sono i tre grandi ai quali il dinamico José ha indirizzato un reverente omaggio. «Il cinema comico — egli ha osservato, — non potrà essere rinnovato se non ci si ispirerà all’esempio di Keaton, Chaplin e Langdon».

Pantieri ha quindi analizzato l’umorismo cinematografico nelle sue componenti artistiche, morali e sociali e perfino religiose. Ha perentoriamente affermato che dalle pellicole gaie dovranno essere d’ora innanzi banditi i doppi sensi, le smorfie e le ragazze in bikini, e che dovrà essere lasciato spazio sempre più ampio alle gags esilaranti. Non per niente il bizzarro italo-parigino, d’origine romagnola ha fondato nella Ville Lumière una fabbrica delle trovate dove si producono a getto continuo idee, battute, situazioni, destinate a suscitare ilarità. Molte di esse sono state già utilizzate da Jacques Tati, da Robert Dhéry e da Pierre Ètaix il cui filmetto Lieto anniversario ha ottenuto così lusinghiero successo giorni fa a Bordighera.

Vivacissimo il dialogo che si è quindi intrecciato tra il profeta della nuova comicità cinematografica e i giornalisti. Uno di questi ha obiettato che i metodi suggeriti da Pantieri rischiano di condurre a un tipo di umorismo meccanico, arido e cerebrale. L’interpellato ha replicato sostenendo che il successo delle trovate non esclude affatto sullo schermo una vicenda unitaria, un’ispirazione sincera, e uno stile sorvegliato.

Rispondendo ad altre domande, Pantieri ha rammentato alcune delle gags più originali da i tre grandi ed ha espresso la speranza di poter presentare al festival dell’anno venturo una o più opere realizzate da lui stesso, con gli amici della fabbrica delle trovate.
(…)
Angelo Maccario
(Corriere della Sera)

Istituita per il cinema la fabbrica delle trovate: si chiama Usine à gags

Milano, 2 dicembre 1962. Alto allampanato, con i baffi a virgola, era un giovanotto strano; dal modo come agitava le braccia, che sembravano giunte al torso coni fili elastici, cioè quelle delle bambole, dava l’impressione di volersene sbarazzare, depositandole sulla nostra scrivania. Poi risultò che era di un pezzo solo, sebbene apparisse snodabile. «José Pantieri — disse — attore comico, cioè mimo». Il nostro volto inespressivo gli diede la sensazione, pienamente giustificata, che il suo nome non dicesse nulla; fu indulgente con la nostra ignoranza e spiegò che, pur essendo italiano, vive a e lavorava in Francia, ed era lì che la sua notorietà tendeva a spandersi.

Intanto, era lui che si spandeva, nel nostro ufficio di redazione, agitando testa, gambe e braccia. Intendeva darci un saggio del suo modo di recitare, e anzi quello della sua scuola. «Il riso, lei capisce, è una cosa seria. Troppa gente la prende sottogamba. Ci siamo ridotti a creare, per il cinema, una comicità bastarda, figlia del teatro e dell’improvvisazione. Mentre l’attor comico, sullo schermo, non può avere altro antenato che il clown del circo equestre; e non già che debba far ridere con le smorfie, se lei mi fraintende siamo fritti, né smorfie, né battute di barzelletta. Deve far ridere con la trovata; e come si chiama la trovata, in francese o in italiano? Si chiama gag». (…)

Il fatto che José Pantieri, romagnolo di Francia, abbia pochi anni e poca esperienza, due deficienze da invidiargli, contrasta singolarmente con questa tendenza a ripristinare la preistoria del cinema. Accade spesso, anche ai nostri giorni di conflitto fra le generazioni, che i giovani ricomincino là dove avevano terminato i nonni. (Non i padri, i nonni; i padri sono troppo vicini per non essere disprezzati).  La fabbrica delle gags, in definitiva, è una reazione alla barba della comicità oggi in uso, che per i film come per il teatro è frutto di situazioni o di dialoghi, cioè dello spirito dello scrittore. Mentre sullo schermo ciò che conta è il gioco dell’istrione: «Mi crede o non mi crede?» (è Pantieri che interroga) «questa fabbrica delle trovate è una trovata».

Con bollo e brevetto, se ci tiene; e se Charlot e Keaton e Lloyd non protestano. Del resto, le cose più difficili da inventare sono quelle che già esistono, a patto che siano dimenticate. Il legnoso, entusiasta José che vuole applicare la nouvelle vague all’ondata vecchia, inserendovi un soffio di simpatica irrazionalità e galvanizzandola con la logica dell’assurdo può anche essere, perché non dovremmo augurarglielo, il profeta della cinematografia comica del duemila. Quella degli anni sessanta è stracca, si arrenderà senza combattere. Il maramaldo con i baffetti può uccidere senza rimorso un tipo di film che agonizza.

Quando se ne andò, non si lasciò dietro dubbi sulle sue possibilità, se mai, tememmo che, fatto com’era a pezzi smontabili, avesse lasciato dietro una mano o un piede. Sul pavimento, però, non c’erano monconi.

Arturo Lanocita
(Il Corriere della Sera) 

 

Con la sua fabbrica di gags vuole sfidare Monsieur Hulot

Il giovane romagnolo José Pantieri sogna di rilanciare il cinema comico con la creazione di un personaggio tipico che sviluppi e perfezioni gli insegnamenti dei classici del ridere.

José Pantieri et son usine a gags Paris

Parigi, settembre 1961. Si chiama José, un nome internazionale come lo è lui del resto, ed è un personaggio che saprà certamente farsi una strada nel mondo che egli è ben deciso a conquistare. E per conquistarlo ha a sua disposizione un semplice ombrello di seta nera dal lungo puntale metallico e dal manico di legno.

José è nato a Parigi ma non è francese come non è di nessun altra nazionalità e di tutte nello stesso tempo. Suo padre invece, a cui assomiglia come una goccia d’acqua, è un giovane italiano di 23 anni, un simpaticissimo emiliano, romagnolo di Forlì per meglio specificare. Come suo fratello Pier Claudio, noto pittore di fama internazionale, che sa esprimere magnificamente coi colori tutte le passioni e la vivacità della sua terra, anche José Pantieri ha sentito impellente sin da ragazzo il bisogno di esprimere quella carica di umorismo di cui madre natura lo aveva dotato. Dopo aver debuttato come dilettante nel teatro romagnolo, José Pantieri si è trasferito a Roma, a Cinecittà dove ha cominciato a perfezionare e a concretizzare i suoi sogni.

Concretizzare è dire molto perché a Cinecittà in pratica José Pantieri ha avuto semplicemente il battesimo della macchina da presa partecipando con parti secondarie a un paio di films. Ma questo inizio modesto nel campo cinematografico ha aperto a José vasti orizzonti per il futuro, mete per le quali però egli si è sentito ancora impreparato per raggiungerle. Per questo è venuto a Parigi e per due anni ha lavorato giorno e notte si può dire per perfezionarsi e perfezionare il «suo» personaggio. «Sono un po’ ambizioso — confessa José Pantieri — e voglio riuscire a sfondare perché sono convinto che quello che ho in testa è buono e vale la pena di farlo conoscere. Per questo mi sono messo al lavoro e per due anni non ho fatto che dedicarmi a perfezionare il mio personaggio». José Pantieri vuole sfondare non nel campo cinematografico in generale, ma in un settore ben definito, quello che, malgrado le apparenze è il più difficile: il genere comico. In questi due anni nel centri di preparazione cinematografica, nelle cineteche e un po’ ovunque, è andato a ritrovare i classici dell’umorismo cinematografico, li ha studiati, li ha analizzati uno per uno. Forte da quanto ha assimilato da questi studi di ricerca oggi José si sente pronto e maturo per esprimere anche lui quanto ha elaborato nel suo cervello in questi anni di lavoro. «Al giorno d’oggi — egli afferma, e come dargli torto — il genere comico nel cinematografo è molto poco considerato. Cos’è che fa ridere oggi? La battuta volgare, la situazione piccante, i doppi sensi. Per questo non pochi produttori rifiutano sistematicamente di produrre films comici sapendo che gran parte del pubblico — giustamente — non li apprezzerebbe. Io sono fermamente convinto che l’uomo ha bisogno di ridere come ha bisogno di mangiare, di bere o di dormire. Evidentemente i tempi sono evoluti e quelli delle torte in faccia sono oramai sorpassati. Ci vuole qualcosa di nuovo». Questo qualcosa di nuovo José Pantieri crede di averlo trovato e applicato nelle numerosissime gag che egli ha studiato e messe a punto in questi anni di lavoro. Si tratta di un nuovo linguaggio umoristico basato esclusivamente sul fattore visivo e su quello sonoro uniti insieme. Un genere insomma tipo Monsieur Hulot di Tati a cui viene aggiunto il fattore sonoro come elemento indispensabile e complementare.

José Pantieri per realizzare questo genere di nuova comicità ha riunito intorno a sé alcuni amici insieme ai quali ha costituita la sua Usine à gags che comincia già ad ottenere i primi successi in Francia. Il personaggio di José ha già ispirato al suo ideatore un cortometraggio per la televisione francese che lo programmerà in ottobre e che sarà seguito successivamente da una lunga serie di altri cortometraggi di questo genere. Ma José, il personaggio timido e sfortunato, un po’ poetico alla Peynet, un personaggio che crede fermamente a cose inverosimili, un personaggio profondamente buono e incapace di far male a una mosca, aspira a mete ben più alte e sarà il protagonista di un lungometraggio che sarà realizzato entro la fine dell’anno. Il suo inseparable ombrello, la sua caratteristica cravatta a farfallino, il suo linguaggio incomprensibile («La parola ostacola e limita molto la comicità — afferma José Pantieri — per questo il mio José è quasi esclusivamente muto, limitandosi a pronunciare parole incomprensibili che però, in qualsiasi lingua, danno esattamente il senso di quello che vogliono esprimere») diventeranno allora popolari e José diventerà certamente un difficile rivale per l’oramai anziano Monsieur Hulot. Per quanto il suo personaggio, la sua creatura che oramai da due anni accompagna giornalmente a spesso per le vie di Parigi osservando e studiando le attitudini dei passanti che sono in realtà gli ispiratori di tutte le sue umoristiche gags, sia oramai pronto per il lancio, José Pantieri afferma che il più duro avverrà dopo, quando José sarà conosciuto e dovrà continuare a vivere. Per questo, per poterlo «alimentare» con sempre nuove trovate egli ha deciso di trasferirsi oltre Manica, sui bordi del Tamigi. «La dove c’è dignità e austerità — afferma Pantieri — c’è materia inesauribile per la comicità».

Con tutto questo fardello d’esperienza José si sta preparando al grande lancio. Alcuni critici cinematografici che l’hanno già visto affermano trattarsi di un nuovo moderno  Charlot: «Sono forse troppo buoni nei miei riguardi — dice modestamente José Pantieri — ma il loro incoraggiamento mi serve molto per consolidare il mio personaggio. Sono convinto di essere sulla buona strada e che in un giorno che non spero lontano si dimentichi un attimo le preoccupazioni che la vita oggi ci riserva per parlare un po’ del mio José che almeno lui, vede la vita sotto un aspetto tutto diverso».

Giovanni Coruzzi
(Libertà, Giovedì 21 settembre 1961) 

Per una fabbrica delle trovate

Usine à Gags film Parigi 1961
François Mars e José Pantieri in un film per il Service de la Recherche, Parigi 1961

“Le rire est le propre de l’homme”, scrive Rabelais, e con lui molti grandi filosofi e studiosi, da Aristotele in poi, si interessano a questo fenomeno, preoccupati di conoscere le fonti e le ragioni. La tesi di ognuno converge nello stabilire che la comicità deriva da tutto ciò che è umano, e che è nella psicologia dell’uomo che se ne rintraccia il segreto. Bergson afferma: “il comico non esiste al di fuori di ciò che è specificamente umano”, e prosegue sostenendo: “Si potrà ridere di un animale, ma per il fatto che si sarà sorpreso in lui un atteggiamento o un’espressione umana. Si potrà ridere di un cappello, che ciò che in definitiva si esso si schermisce non è il feltro o la paglia, bensì la forma che gli uomini gli hanno attribuito”. Ridere è dunque un fenomeno naturale proprio dell’uomo, e di cui egli si serve per nutrire il suo spirito: diventa quindi una necessità, un bisogno incessante il dare allo spirito quella carica di buonumore, di gioia, di ottimismo che l’incalzare ritmo sfrenato della vita moderna esige dall’individuo.

Credo dunque nell’importanza della comicità, e nel bisogno di sviluppo che attualmente urge in questo campo. Ho quindi scelto il cinema, il quale, a mio avviso, offre al riguardo il maggior numero di mezzi espressivi, sia come estrinsecazione che come veicolo per raggiungere il più vasto numero possibile di persone. Purtroppo però, esiste attualmente un cinema comico agonizzante, decadente, con una mentalità puramente commerciale, delirante di ipocrisia e di grossolane volgarità. Tale arte, di conseguenza, viene posta in disparte, e si crea nell’opinione pubblica un giudizio errato per quanto riguarda le autentiche possibilità di questo meraviglioso mezzo. I grandi maestri della risata che conobbero in passato la gloria universale e che tanto contribuirono allo sviluppo dell’industria e dell’arte cinematografica, da André Deed a Max Linder, da Mack Sennett a Buster Keaton, Harry Langdon, Harold Lloyd fino ai fratelli Marx (con la sola eccezione di Chaplin, grazie anche alla sua continua attività, non più comica), sono passati nell’ombra, dimenticati, e assai presto perfino misconosciuti da parte del pubblico e della critica odierna, che li giudica con molta faciloneria e superficialità.

Chi sia privo di una cultura, chi ignori Giotto o Verdi, chi non sappia cosa furono Napoleone o Giulio Cesare, viene respinto dalla società, non è preso in considerazione da essa. Eppure, ahimé, perfino molti storici e autorevoli critici cinematografici sono completamente privi di conoscenza delle opere di taluni grandi comici: Harry Langdon, uno dei più grandi con Chaplin e Keaton, è, a esempio, quasi uno sconosciuto. Solo in questi ultimi anni ci si sta “accorgendo” di Sennett, di Keaton, di Lloyd, ma sono ancora molto rari coloro che possono dire di conoscere veramente l’opera (e Deed, Linder, Fatty Arbuckle, Mabel Normand, i Marx, W. C. Fields, insieme a tanti altri grandi nomi del cinema comico, sono quasi ignorati). La cultura in proposito è inoltre così scarsa che si finisce soltanto con l’alimentare degli equivoci, e con lo scrivere delle balordaggini, incrementando sempre più la crisi del “genere”.

(…)

Ma le parole non riusciranno mai da sole a influire sulla crisi del “genere” comico, a smuoverla. Quando me ne accorsi, mi rimboccai le maniche e mi posi al lavoro: fondai tre anni fa a Parigi L’usine à gags, cioè La Fabbrica delle Trovate, una “équipe” di persone che amano il cinema comico, credono che possa essere una forma di espressione artistica, che con esso si possa divertire un pubblico in una maniera meno banale e meno delirante, e che, pur continuando la grande tradizione tracciata dai maestri della risata, si possa rinnovarne le forme e le idee, adeguandosi alle tecniche moderne, adottando — come strumento di divertimento dello spettatore — non mezzi facili e gratuiti ma la ricerca psicologica di una trovata, e non stimolando la pura e semplice ilarità bensì l’intelligenza. Non sembri questo un ideale troppo ambizioso. È un bisogno, la rivolta di un gruppo che, stanco del decadimento e degli abusi commerciali del cinema comico attuale (e che lo stesso pubblico domenicale oggi respinge), auspica che tale “genere” ritrovi il suo posto e il suo valore nell’ambito della cinematografia mondiale, a beneficio e gioia dei nuovi spettatori.

L’usine à gags è composta da tre gruppi: soggettisti e gagmen, mimi e comici, tecnici. Vi sono inoltre due sezioni: la prima formata da elementi dei precedenti gruppi, costituisce un servizio sperimentale di ricerca, in cui si collabora allo studio e all’applicazione di nuove forme di comicità; la seconda è il conservatorio d’arte comica, di cui possono far parte tutti coloro che amano tale genere e che, direttamente o indirettamente, operano per la sua valorizzazione e per il suo sviluppo. Recentemente l’équipe ha realizzato per conto del Service de la Recherche della televisione francese, alcune bande d’essai, dove veniva sperimentata con successo una nuova forma di comicità, da me creata e composta di gags visivo-sonori basati sull’assimilazione di idee, suoni e immagini. Intanto L’usine à gags ha in preparazione una serie di cortometraggi, interpretati da Don José, un personaggio lungo e agile, dal passo svelto e meccanico, il quale subirà nel corso delle varie vicende e a causa della sua ingenuità e timidezza, una serie di disavventure. La sua sfortuna provocherà innumerevoli conseguenze, che egli risolverà nel modo più bizzarro.

Don José sarà coadiuvato da un gruppo di altri personaggi, tutti con loro caratteristiche grottesche, e che formeranno un insieme di maschere tipiche. Ultimata questa serie, affronteremo il progetto di un lungometraggio che sia frutto di tutte le precedenti esperienze. Allo scopo di valorizzare e diffondere la conoscenza dei grandi comici del passato, stiamo inoltre compiendo ardue ricerche di materiale per pubblicare una storia completa del cinema comico, dato che finora non esistono libri davvero esaurienti. Il nostro avvenire è denso di difficoltà, soprattutto finanziarie, ma vedremo di cavarcela ugualmente.

José Pantieri
(cinema nuovo, novembre-dicembre 1962)