
“Le rire est le propre de l’homme”, scrive Rabelais, e con lui molti grandi filosofi e studiosi, da Aristotele in poi, si interessano a questo fenomeno, preoccupati di conoscere le fonti e le ragioni. La tesi di ognuno converge nello stabilire che la comicità deriva da tutto ciò che è umano, e che è nella psicologia dell’uomo che se ne rintraccia il segreto. Bergson afferma: “il comico non esiste al di fuori di ciò che è specificamente umano”, e prosegue sostenendo: “Si potrà ridere di un animale, ma per il fatto che si sarà sorpreso in lui un atteggiamento o un’espressione umana. Si potrà ridere di un cappello, che ciò che in definitiva si esso si schermisce non è il feltro o la paglia, bensì la forma che gli uomini gli hanno attribuito”. Ridere è dunque un fenomeno naturale proprio dell’uomo, e di cui egli si serve per nutrire il suo spirito: diventa quindi una necessità, un bisogno incessante il dare allo spirito quella carica di buonumore, di gioia, di ottimismo che l’incalzare ritmo sfrenato della vita moderna esige dall’individuo.
Credo dunque nell’importanza della comicità, e nel bisogno di sviluppo che attualmente urge in questo campo. Ho quindi scelto il cinema, il quale, a mio avviso, offre al riguardo il maggior numero di mezzi espressivi, sia come estrinsecazione che come veicolo per raggiungere il più vasto numero possibile di persone. Purtroppo però, esiste attualmente un cinema comico agonizzante, decadente, con una mentalità puramente commerciale, delirante di ipocrisia e di grossolane volgarità. Tale arte, di conseguenza, viene posta in disparte, e si crea nell’opinione pubblica un giudizio errato per quanto riguarda le autentiche possibilità di questo meraviglioso mezzo. I grandi maestri della risata che conobbero in passato la gloria universale e che tanto contribuirono allo sviluppo dell’industria e dell’arte cinematografica, da André Deed a Max Linder, da Mack Sennett a Buster Keaton, Harry Langdon, Harold Lloyd fino ai fratelli Marx (con la sola eccezione di Chaplin, grazie anche alla sua continua attività, non più comica), sono passati nell’ombra, dimenticati, e assai presto perfino misconosciuti da parte del pubblico e della critica odierna, che li giudica con molta faciloneria e superficialità.
Chi sia privo di una cultura, chi ignori Giotto o Verdi, chi non sappia cosa furono Napoleone o Giulio Cesare, viene respinto dalla società, non è preso in considerazione da essa. Eppure, ahimé, perfino molti storici e autorevoli critici cinematografici sono completamente privi di conoscenza delle opere di taluni grandi comici: Harry Langdon, uno dei più grandi con Chaplin e Keaton, è, a esempio, quasi uno sconosciuto. Solo in questi ultimi anni ci si sta “accorgendo” di Sennett, di Keaton, di Lloyd, ma sono ancora molto rari coloro che possono dire di conoscere veramente l’opera (e Deed, Linder, Fatty Arbuckle, Mabel Normand, i Marx, W. C. Fields, insieme a tanti altri grandi nomi del cinema comico, sono quasi ignorati). La cultura in proposito è inoltre così scarsa che si finisce soltanto con l’alimentare degli equivoci, e con lo scrivere delle balordaggini, incrementando sempre più la crisi del “genere”.
(…)
Ma le parole non riusciranno mai da sole a influire sulla crisi del “genere” comico, a smuoverla. Quando me ne accorsi, mi rimboccai le maniche e mi posi al lavoro: fondai tre anni fa a Parigi L’usine à gags, cioè La Fabbrica delle Trovate, una “équipe” di persone che amano il cinema comico, credono che possa essere una forma di espressione artistica, che con esso si possa divertire un pubblico in una maniera meno banale e meno delirante, e che, pur continuando la grande tradizione tracciata dai maestri della risata, si possa rinnovarne le forme e le idee, adeguandosi alle tecniche moderne, adottando — come strumento di divertimento dello spettatore — non mezzi facili e gratuiti ma la ricerca psicologica di una trovata, e non stimolando la pura e semplice ilarità bensì l’intelligenza. Non sembri questo un ideale troppo ambizioso. È un bisogno, la rivolta di un gruppo che, stanco del decadimento e degli abusi commerciali del cinema comico attuale (e che lo stesso pubblico domenicale oggi respinge), auspica che tale “genere” ritrovi il suo posto e il suo valore nell’ambito della cinematografia mondiale, a beneficio e gioia dei nuovi spettatori.
L’usine à gags è composta da tre gruppi: soggettisti e gagmen, mimi e comici, tecnici. Vi sono inoltre due sezioni: la prima formata da elementi dei precedenti gruppi, costituisce un servizio sperimentale di ricerca, in cui si collabora allo studio e all’applicazione di nuove forme di comicità; la seconda è il conservatorio d’arte comica, di cui possono far parte tutti coloro che amano tale genere e che, direttamente o indirettamente, operano per la sua valorizzazione e per il suo sviluppo. Recentemente l’équipe ha realizzato per conto del Service de la Recherche della televisione francese, alcune bande d’essai, dove veniva sperimentata con successo una nuova forma di comicità, da me creata e composta di gags visivo-sonori basati sull’assimilazione di idee, suoni e immagini. Intanto L’usine à gags ha in preparazione una serie di cortometraggi, interpretati da Don José, un personaggio lungo e agile, dal passo svelto e meccanico, il quale subirà nel corso delle varie vicende e a causa della sua ingenuità e timidezza, una serie di disavventure. La sua sfortuna provocherà innumerevoli conseguenze, che egli risolverà nel modo più bizzarro.
Don José sarà coadiuvato da un gruppo di altri personaggi, tutti con loro caratteristiche grottesche, e che formeranno un insieme di maschere tipiche. Ultimata questa serie, affronteremo il progetto di un lungometraggio che sia frutto di tutte le precedenti esperienze. Allo scopo di valorizzare e diffondere la conoscenza dei grandi comici del passato, stiamo inoltre compiendo ardue ricerche di materiale per pubblicare una storia completa del cinema comico, dato che finora non esistono libri davvero esaurienti. Il nostro avvenire è denso di difficoltà, soprattutto finanziarie, ma vedremo di cavarcela ugualmente.
José Pantieri
(cinema nuovo, novembre-dicembre 1962)