Un giorno di novembre

Josè Pantieri Forlì 1942
La mia prima foto (forse)

La mia vita inizia un giorno del mese di novembre del 1941, esattamente il 19, quando nacqui in casa all’ultimo piano di un immobile in Corso Diaz al n° 10 a Forlì (adesso, purtroppo, la mia casa natale non esiste più ed anche il numero civico è cambiato, ma è rimasto una parte del cortile… Si tratta in ogni caso di quella casa davanti al Palazzo Mangelli, vicino all’attuale Teatro Diego Fabbri, ex cinema Astra).

Mi chiamo Josè Pantieri, ma Josè è uno pseudonimo o meglio un nome “affettivo” dato dai miei genitori, che sembra derivare dal dialetto romagnolo perché in realtà mi chiamo  Giuseppe, Amedeo, Bruno… Josè sarebbe derivato dalla forma dialettale di “Jusef” cioè Giuseppe.

Mio padre si chiamava Dante (Meldola, 1903-1994 ) e mia madre Domenica Paganelli (Forlì, 1898-1988). Erano persone semplici, ma di gran carattere, dei veri “romagnoli”. Erano stati per molti anni a Tripoli in Libia a “cercare fortuna” come tanti, a quell’epoca, con i miei due fratelli, Pier Claudio detto Piero (nato al Meldola il 10-12-1927) e mia sorella Floriana detta Flory (nata a Tripoli, in Libia il 6-3-1931).

Quando nacqui i miei genitori avevano aperto, nel piano terra dello stesso immobile, una bella “Latteria del Corso”: era la prima latteria della Città con bar e piccolo ristoro, e forse per questo il latte fu ed è il mio alimento preferito.

Dei primi anni, ovviamente ricordo poco, e tutto sommato è meglio così, perché furono gli anni tristi della guerra, dei bombardamenti (anzi una piccola scheggia di vetro mi ferì alla testa e ancora ne porto il segno…), ma ricordo soprattutto le macerie di un palazzo vicino completamente distrutto dove andavo a giocare, all’angolo di Via Merenda, dove una volta m’infortunai mettendo il piede destro sotto la fessura di una botola di ferro con chiusura a terra, che rimasi schiacciato e quindi intrappolato per la sua accidentale ed improvvisa chiusura: grida e pianti, con intervento macchinoso e delicato. Fortunatamente quest’incidente non lasciò conseguenze, se non per un breve periodo, tuttavia fu un brutto ricordo di quegli anni.

Ricordo invece, con piacere, i miei primi burattini, quelli con la testa di terracotta, colorati e ceramicati, nei quali si mettevano dentro tre dita di una mano, un dito dentro la testa e due per le braccia che, come il corpo, erano fatte di stoffa.

Ne facevo i miei primi spettacoli, credo di aver avuto, tre o quattro anni e facevo anche pagare un biglietto… con carta moneta disegnata a mano, dai miei piccoli amici-spettatori.

Ma il ricordo più bello di quei primi anni fu il regolo più desiderato: una bella bicicletta, piccola, nuova, azzurra… che trovai nella mia stanza da letto. Che emozione, e che gioia… e la bicicletta fu d’allora, una mia cara compagna che ancora adesso utilizzo spesso.

José Pantieri
(I miei primi 60 anni, Roma, novembre 2001)

Per una fabbrica delle trovate

Usine à Gags film Parigi 1961
François Mars e José Pantieri in un film per il Service de la Recherche, Parigi 1961

“Le rire est le propre de l’homme”, scrive Rabelais, e con lui molti grandi filosofi e studiosi, da Aristotele in poi, si interessano a questo fenomeno, preoccupati di conoscere le fonti e le ragioni. La tesi di ognuno converge nello stabilire che la comicità deriva da tutto ciò che è umano, e che è nella psicologia dell’uomo che se ne rintraccia il segreto. Bergson afferma: “il comico non esiste al di fuori di ciò che è specificamente umano”, e prosegue sostenendo: “Si potrà ridere di un animale, ma per il fatto che si sarà sorpreso in lui un atteggiamento o un’espressione umana. Si potrà ridere di un cappello, che ciò che in definitiva si esso si schermisce non è il feltro o la paglia, bensì la forma che gli uomini gli hanno attribuito”. Ridere è dunque un fenomeno naturale proprio dell’uomo, e di cui egli si serve per nutrire il suo spirito: diventa quindi una necessità, un bisogno incessante il dare allo spirito quella carica di buonumore, di gioia, di ottimismo che l’incalzare ritmo sfrenato della vita moderna esige dall’individuo.

Credo dunque nell’importanza della comicità, e nel bisogno di sviluppo che attualmente urge in questo campo. Ho quindi scelto il cinema, il quale, a mio avviso, offre al riguardo il maggior numero di mezzi espressivi, sia come estrinsecazione che come veicolo per raggiungere il più vasto numero possibile di persone. Purtroppo però, esiste attualmente un cinema comico agonizzante, decadente, con una mentalità puramente commerciale, delirante di ipocrisia e di grossolane volgarità. Tale arte, di conseguenza, viene posta in disparte, e si crea nell’opinione pubblica un giudizio errato per quanto riguarda le autentiche possibilità di questo meraviglioso mezzo. I grandi maestri della risata che conobbero in passato la gloria universale e che tanto contribuirono allo sviluppo dell’industria e dell’arte cinematografica, da André Deed a Max Linder, da Mack Sennett a Buster Keaton, Harry Langdon, Harold Lloyd fino ai fratelli Marx (con la sola eccezione di Chaplin, grazie anche alla sua continua attività, non più comica), sono passati nell’ombra, dimenticati, e assai presto perfino misconosciuti da parte del pubblico e della critica odierna, che li giudica con molta faciloneria e superficialità.

Chi sia privo di una cultura, chi ignori Giotto o Verdi, chi non sappia cosa furono Napoleone o Giulio Cesare, viene respinto dalla società, non è preso in considerazione da essa. Eppure, ahimé, perfino molti storici e autorevoli critici cinematografici sono completamente privi di conoscenza delle opere di taluni grandi comici: Harry Langdon, uno dei più grandi con Chaplin e Keaton, è, a esempio, quasi uno sconosciuto. Solo in questi ultimi anni ci si sta “accorgendo” di Sennett, di Keaton, di Lloyd, ma sono ancora molto rari coloro che possono dire di conoscere veramente l’opera (e Deed, Linder, Fatty Arbuckle, Mabel Normand, i Marx, W. C. Fields, insieme a tanti altri grandi nomi del cinema comico, sono quasi ignorati). La cultura in proposito è inoltre così scarsa che si finisce soltanto con l’alimentare degli equivoci, e con lo scrivere delle balordaggini, incrementando sempre più la crisi del “genere”.

(…)

Ma le parole non riusciranno mai da sole a influire sulla crisi del “genere” comico, a smuoverla. Quando me ne accorsi, mi rimboccai le maniche e mi posi al lavoro: fondai tre anni fa a Parigi L’usine à gags, cioè La Fabbrica delle Trovate, una “équipe” di persone che amano il cinema comico, credono che possa essere una forma di espressione artistica, che con esso si possa divertire un pubblico in una maniera meno banale e meno delirante, e che, pur continuando la grande tradizione tracciata dai maestri della risata, si possa rinnovarne le forme e le idee, adeguandosi alle tecniche moderne, adottando — come strumento di divertimento dello spettatore — non mezzi facili e gratuiti ma la ricerca psicologica di una trovata, e non stimolando la pura e semplice ilarità bensì l’intelligenza. Non sembri questo un ideale troppo ambizioso. È un bisogno, la rivolta di un gruppo che, stanco del decadimento e degli abusi commerciali del cinema comico attuale (e che lo stesso pubblico domenicale oggi respinge), auspica che tale “genere” ritrovi il suo posto e il suo valore nell’ambito della cinematografia mondiale, a beneficio e gioia dei nuovi spettatori.

L’usine à gags è composta da tre gruppi: soggettisti e gagmen, mimi e comici, tecnici. Vi sono inoltre due sezioni: la prima formata da elementi dei precedenti gruppi, costituisce un servizio sperimentale di ricerca, in cui si collabora allo studio e all’applicazione di nuove forme di comicità; la seconda è il conservatorio d’arte comica, di cui possono far parte tutti coloro che amano tale genere e che, direttamente o indirettamente, operano per la sua valorizzazione e per il suo sviluppo. Recentemente l’équipe ha realizzato per conto del Service de la Recherche della televisione francese, alcune bande d’essai, dove veniva sperimentata con successo una nuova forma di comicità, da me creata e composta di gags visivo-sonori basati sull’assimilazione di idee, suoni e immagini. Intanto L’usine à gags ha in preparazione una serie di cortometraggi, interpretati da Don José, un personaggio lungo e agile, dal passo svelto e meccanico, il quale subirà nel corso delle varie vicende e a causa della sua ingenuità e timidezza, una serie di disavventure. La sua sfortuna provocherà innumerevoli conseguenze, che egli risolverà nel modo più bizzarro.

Don José sarà coadiuvato da un gruppo di altri personaggi, tutti con loro caratteristiche grottesche, e che formeranno un insieme di maschere tipiche. Ultimata questa serie, affronteremo il progetto di un lungometraggio che sia frutto di tutte le precedenti esperienze. Allo scopo di valorizzare e diffondere la conoscenza dei grandi comici del passato, stiamo inoltre compiendo ardue ricerche di materiale per pubblicare una storia completa del cinema comico, dato che finora non esistono libri davvero esaurienti. Il nostro avvenire è denso di difficoltà, soprattutto finanziarie, ma vedremo di cavarcela ugualmente.

José Pantieri
(cinema nuovo, novembre-dicembre 1962)

XX Settimana Internazionale del Cinema Muto 2001

XX Settimana Internazionale del Cinema Muto 2001

Museo Internazionale del Cinema e dello Spettacolo, Roma 3-8 dicembre 2001

Cenerentola reclama il suo ruolo
Quando un archeologo scavando pazientemente tra la terra e i vermi riesce a trovare un qualche reperto e lo ripulisce con cura, a volte anche con particolare difficoltà, lo fotografa, lo studia e lo espone e lo rende noto agli studiosi e alla collettività, oltre a provare una enorme gioia è spesso compensato da riconoscimenti ufficiali del suo difficile e utile lavoro di alta specializzazione. Parallelamente dovrebbe essere così per i nuovi archeologi delle immagini, anche se ovviamente le date di produzione e di realizzazione di questi cimeli sono assai più recenti. Ma il valore storico-culturale non può essere considerato minore e tanto meno sottovalutare la fatica per il recupero e per il restauro, che pur essendo diverso in quanto a metodi e a tecniche, è altrettanto impegnativa e difficile.
Quindi questa prima parziale e provvisoria pubblicazione potrebbe e dovrebbe servire a quel vasto numero di appassionati che, sempre più numerosi, si stanno avvicinando in tutto il mondo alla nuova cultura derivata dalla memoria storica collettiva e della cosiddetta archeologia filmica.
Noi sappiamo perfettamente di essere una presenza scomoda e questo spiegherebbe nella logica le enormi difficoltà che abbiamo dovuto affrontare da circa 40 anni a questa parte. Scomoda per quegli Enti Pubblici preposti per questo tipo di lavoro che disponevano di ingenti somme di denaro, di attrezzature specialistiche, di locali climatizzati e accoglienti, di personale e di numerosi privilegi legislativi e finanziari.
In altre parole a titolo di esempio se oggi volessero costruire le piramidi, ammesso e non concesso che si riuscisse a edificarle con lo stesso straordinario sforzo degli schiavi egizi migliaia di anni fa e che ancora resistono incessantemente al passare dei secoli e all’evolversi delle tecniche, allo stesso modo, anche se l’esempio può sembrare presuntuoso e sproporzionato, è stato il nostro sforzo in questi 40 anni di lavoro che deve far riflettere e non deve passare nel dimenticatoio perché è la risposta chiara e precisa di chi ha sempre creduto nella cultura autentica, appassionata, libera e alternativa ad un potere spesso corrotto, inefficiente ed inadempiente.
Ecco perché noi siamo trattati fino ad oggi come Cenerentola, ma ora reclamiamo finalmente quel posto al sole che ci siamo con tanta fatica conquistati.

José Pantieri
Direttore del M.I.C.S. Museo Internazionale del Cinema e dello Spettacolo
Roma, 19 novembre 2001

 

Rassegna Internazionale Cinetelevisiva FIAIS 1997

Rassegna Internazionale Cinetelevisiva FIAIS 1997

Roma, Sala Santa Rita (ex-chiesa S. Rita), 12-17- dicembre 1997
Il Suono delle Luci e delle Ombre

Piano piano andiamo avanti e consolidiamo uno spazio strategico importante. Così la FIAIS, pur attraverso difficoltà di ogni genere, in pochi anni è riuscita a raccogliere, in un crescendo, numerosi consensi e molte adesioni importanti. L’annuale rassegna è giunta alla sua quarta edizione e vanta, nel suo album di ricordi, numerosi personaggi importanti: Damiano Damiani, Mario Costa, Pupi Avati, Giuseppe Rotunno, Marcello Gatti, Carlo Lizzani, Francia Valeri e molti altri.

Dopo aver pubblicato, bilingue, il numero sperimentale della rivista Immagini & Suoni, stiamo cercando da tempo di renderla continuativa e più attraente, con lo scopo, anche, di farne strumento agli addetti ai lavori, in un settore nuovo e complesso com’è, appunto, quello dei moderni Archivi delle immagini e dei suoni.

Vorremmo però poter influire maggiormente sulle decisioni importanti della politica culturale italiana ed europea. A dire il vero, fummo chiamati a suo tempo presso il Senato della Repubblica per una consultazione, in una Commissione che doveva elaborare un testo legislativo e non ci sembra, purtroppo, che si sia tenuto adeguatamente conto dei nostri suggerimenti… Ma lo faranno, sicuramente, se con l’aiuto di tutti riusciremmo a diventare — sempre più e meglio —  una forza strategica determinante. La FIAIS, al tal fine, può essere una forza strategica determinante. Questo nell’interesse comune, per la collettività e per il futuro di questo settore della cultura che corre con crescente sviluppo. Dunque, amici, avanti tutta…

José Pantieri

I Notari di Napoli

José Pantieri e Giuliana Notari
Roma, 7 dicembre 1996. José Pantieri e Giuliana Notari, vedova di Eduardo Notari (Gennariello). Cerimonia inaugurale della XV Settimana internazionale del Cinema Muto.

Famiglia “storica” del cinema “napoletano”, italiano ed internazionale, ma anche per interessanti particolarità.

Dunque vediamo Nicola Notari (Napoli 1875-1955) ex pittore, fotografo, nel 1900 amplia il suo laboratorio, specializzandosi nella stampa, titolatura e coloritura manuale con aniline di film e pellicole cinematografiche.

Nel 1902 sposa Elvira Coda e nel 1908 fonda la Films Dora (dal nome della figlia) con la quale inizia a realizzare una serie di brevi documentari. Elvira, soggettista, attrice e regista, riduce per lo schermo una lunga serie di drammi “napoletani”. Dal 1911 in poi le loro produzioni ottengono un crescente successo, soprattutto in America, tra gli emigrati italiani, e nella regione Campania, dove vivono e lavorano, assieme al figlio Eduardo, interprete di numerosi film (il famoso Gennariello) e collaboratore della famiglia.

Di conseguenza, le “particolarità” cui accennavamo prima, si possono così riassumere: un tipo di lavoro pioneristico e artigianale di grande interesse storico; la valorizzazione della cultura “napoletana”; la donna-autore-regista del primo cinema; il rapporto Italia-Usa attraverso gli emigranti; il bambino-interprete principale; e altre interessanti tematiche da indagare e sviluppare. Ci preme poi ricordare, in finale, i loro graziosi, simpatici, originali e brevissimi “arrivederci” che, colorati a mano e con molta fantasia, salutavano gli spettatori al termine di ogni spettacolo.
(dal programma della XV Settimana Internazionale del Cinema Muto, Roma 1996)

Nella foto sopra, dietro a Pantieri e Giuliana Notari, una delle apparecchiature utilizzate dai Notari cedute (vendute) al Museo: trucca per riprese cinematografiche di titoli, didascalie ed effetti speciali.