Ottobre 1980. Se l’opinione pubblica italiana risulta abbastanza sensibilizzata a proposito della colpevole inerzia e dello scarso impegno mostrato dai nostri governanti di fronte al grave problema della conservazione del patrimonio artistico nazionale, soggetto ad un catastrofico deperimento ambientale e ad una massiccia spoliazione clandestina, la stessa opinione pubblica è di certo completamente all’oscuro della minaccia di definitiva distruzione che incombe su migliaia e migliaia di film rari del passato (in gran parte facenti parte del periodo del muto; copie positive negativi), destinati a finire al macero. Infatti, in base alla nostra legislazione, tutte queste pellicole, essendo infiammabili, dovranno essere via via eliminate e distrutte giacché i laboratori di sviluppo stampa non possono né conservarle né effettuarne la trasformazione su pellicola ininfiammabile. A lanciare un appassionato grido d’allarme per questa minaccia di completa estinzione gravante su di un inestimabile patrimonio filmico (si tratta spesso di film molto rari e in molti casi di copie uniche, specialmente per quanto riguarda le opere del cinema muto italiano), è stato il regista italiano José Pantieri, critico e saggista assi noto anche all’estero per le sue pubblicazioni di storia e teoria cinematografica e molto apprezzato per le sue realizzazioni cinetelevisive.
Pantieri è in fondatore e l’animatore del CSCTV (Centro studi cinetelevisivi) di Forlì, un’associazione che può ben a ragione essere definita benemerita nel campo della conservazione del patrimonio filmico nazionale ed estero. Il Centro dispone infatti di una cineteca dove sono conservati circa quattromila film in gran parte rari ed unici al mondo; le altre strutture dell’associazione comprendono: una fototeca cinematografica considerata la più grande d’Italia nel suo genere, con circa 2 milioni di fotografie dal 1895 ad oggi; una biblioteca internazionale cinetelevisiva comprendente volumi rarissimi; un’emeroteca dello spettacolo con circa un milione di pubblicazioni e documenti; un laboratorio per lavorazioni cinetelevisive munito di moviola ed altre attrezzature professionali.
La cineteca del CSCTV ha ottenuto in questi ultimi anni dei lusinghieri successi grazie al ritrovamento di film rari ed, in alcuni casi, di esemplari unici al mondo. Ora il Centro ha intrapreso una campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica italiana a proposito della scarsa e nessuna attenzione che il potere dedica a questo preoccupante problema. Nonostante le molte a ottime intenzioni spese a parole da ministri e legislatori, malgrado le esortazioni che giungono dall’UNESCO e da altre organizzazioni internazionali per raccomandare la protezione e la conservazione del patrimonio filmico e audiovisivo, a fronte di tutti i retorici discorsi dell’area di regime sulla salvaguardia dei beni culturali e artistici, c’è una ben amara realtà: giorno dopo giorno, da anni, le pellicole che non sono safety (ininfiammabili) stanno facendo una melanconica e sciocca fine: sono avviate al macero (e oltretutto, ciò che appare più paradossale, in ossequio ad una disposizione di legge!), e scompaiono così le testimonianze, spesso uniche e preziose, di lavori cinematografici a documentare i quali resteranno perciò soltanto le fotografie d’archivio e la memoria letteraria contenuta in recensioni, saggi e libri di storia del cinema.
Occorre promuovere — dice Pantieri — una revisione della legislazione in materia, onde arrivare al varo di disposizioni che autorizzino e incentivino la realizzazione di laboratori specializzati per la lavorazione di pellicole infiammabili ed il loro trasferimento (controtipi, ecc.) su supporto ininfiammabile. Occorre fare qualcosa e subito poiché, tra pochi anni, in considerazione dell’estremo stato di deterioramento di certe pellicole in deposito alla Cineteca Nazionale e considerata la nessuna cura con cui sono conservati negativi e copie nei depositi privati, molto materiale insostituibile andrà irrimediabilmente perduto oppure risulterà irrecuperabile. La conservazione, salvo rare eccezioni, avviene infatti senza rispettare i moderni dispositivi di controllo della umidità e della temperatura ambiente nei locali spesso fatiscenti adibiti a deposito.
A fronte della benemerita azione condotta da anni, con autentica passione e solida competenza professionale, da organismi come il CSCTV di Forlì e la Cineteca Italiana di Milano, sta la sciatta insensibilità di governi e ministri, che lesina contributi tratti sugli già inadeguati stanziamenti di legge in materia. L’opinione pubblica, ad esempio, andrebbe ragguagliata con una maggiore informazione su ciò che ha fatto (o non fatto) e su ciò che sta facendo (o non facendo) il Centro Sperimentale di Cinematografia ed il suo presidente per rendere efficiente nelle strutture e nell’organizzazione la Cineteca Nazionale. In merito ai criteri di spesa nell’impiego dei contributi ricevuti da questa cineteca corrono sulla stampa curiose dicerie, che forse non sono soltanto pettegolezzi, se è vero, come ha scritto recentemente Luciano Foglietta sul Carlino, che Di Giammatteo, ad esempio, avrebbe fatto fare una decina di copie di un film di Pasolini, preferendo questa dispendiosa operazione moltiplicatrice a meno costosi interventi a favore di film importanti della storia del cinema che sarebbero altrimenti destinati a scomparire senza lasciare traccia.
Sacrosanto il contributo di mezzo miliardo attribuito alla Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale e lo stanziamento di altri miliardi previsto in suo favore in una bozza di legge sul cinema, ma si impone però sempre più urgente il problema di una più equa ripartizione dei contributi pubblici alle cineteche, fondata sulla obiettiva realtà dell’effettivo patrimonio raccolto dalle singole organizzazioni. Così come diventa improcrastinabile un’indagine conoscitiva a livello ministeriale sulla reale situazione, efficienza e funzionalità didattico-culturale delle cineteche oggi in Italia. Il pericolo di una perdita irreversibile di una parte notevole del patrimonio filmico nazionale rappresenta un danno troppo grave perché la comunità possa ancora tollerare insensibilità, incapacità ed inefficienza.
Carlo Cozzi
(Il Secolo d’Italia)