Polemico Pantieri tornato dall’America Latina

Polemico Pantieri tornato dall'America Latina
il Resto del Carlino, Mercoledì 3 settembre 1975

José Pantieri, il noto cineasta romagnolo residente a Riccione, regista e critico, è tornato da una tournée di conferenze cinematografiche svolte nelle capitali dell’America Latina, che hanno ottenuto un calorosissimo successo. Le televisioni argentina e peruviana l’hanno intervistato ed hanno messo in onda servizi speciali su di lui. La stampa è stata prodiga di interessamento e di spazio. «El cineasta italiano creador del Museo de la Risa» è apparso addirittura in fotografia sulla prima pagina de El Pueblo, il maggiore quotidiano del Perù.

— È contento Pantieri?

— Dell’America Latina, sì. È stato un viaggio meraviglioso, anche se molto faticoso. Purtroppo, quando si ritorna a casa cascano le braccia. È proprio vero che nessuno che nessuno è profeta a casa sua.

— Come mai?

— Vede, una delle iniziative che più mi stanno a cuore è l’apertura del Museo Internazionale della Risata, unico al mondo nel suo genere, che dispone attualmente di 25.000 documenti, fra films, libri, foto, tutti relativi al comico nel cinema, nel teatro, nella letteratura, nella TV, nelle arti grafiche. Ho lavorato oltre 15 anni per realizzare tutto questo (che in gran parte è raccolto nella mia casa di Riccione), mentre una parte di valore grandissimo è un Francia), ma in Romagna non c’è nessuno che si sia mai preoccupato di curarsi e di valorizzare tutto questo per il popolo.

— Ma questo Museo è noto al pubblico?

— Certamente. Da anni i giornali parlano di questa originale iniziativa e da diverse parti del mondo mi scrivono per avere materiale o per poter consultare gli archivi o la cineteca, ma purtroppo non dispongo dei locali e dei mezzi necessari per far funzionare questo Museo nel modo più idoneo.

— Ma come è possibile? In queste zono non si fa altro che parlare di cultura e politica culturale: è possibile che degli amministratori comunali così aperti alla cultura, non si siano resi ancora conto del patrimonio culturale inestimabile raccolto da un provato, con sacrifici enormi di tempo, fatica e denaro? Mi risulta ad esempio, che la Biennale di Venezia s’è rivolta alla cineteca di un privato per fare una mostra antologica del cinema di Griffith: Riccione non potrebbe fare altrettanto con lei, per il cinema comico?

— Riccione non è Venezia, evidentemente e si vede che i nostri amministratori sottovalutano l’importanza di questa forma espressiva. Da anni sollecito i vari responsabili del Comune, dell’Azienda di Soggiorno, della Provincia, della Regione, dello Stato. Ma niente.

— I tempi sono difficili: inoltre Comuni e Aziende di Soggiorno devono ogni anno sobbarcarsi al gravissimo onere di finanziare la propaganda collettiva della Regione per cui a loro non rimane quasi nulla per svolgere un’attività autonoma. Si aggiunga poi che la burocrazia è la nemica istintiva della fantasia e dell’inventiva, tanto è vero che quando si crearono le Aziende di Soggiorno, nel 1927, le si rese appunto autonome per sottrarle allo jugulamento burocratico degli enti locali.

— Ma il Museo della Risata è un’iniziativa culturale propagandistica di valore ben superiore a quello di tante altre manifestazioni per le quali gli enti comunali rivieraschi spendono ogni anno fior di quattrini. D’altra parte il Museo riccionese per vivere avrebbe bisogno di non molto, di qualche locale, di finanziamenti non eccessivi e della possibilità di essere un museo vivente non un museo morto a disposizione di tanti, soprattutto studenti, che anche ora si rivolgono a me per esigenze specifiche culturali, che io per altro solo raramente posso soddisfare con i miei mezzi, ormai ridotti al lumicino.

— Diceva che una parte di grandissimo valore del suo Museo è depositata in Francia. Quale, dove e perché?

— Si tratta di film comici muti unici di valore inestimabile, i cui originali sono venuti in mio possesso dopo estenuanti ricerche. Sono fatti di celluloide molto infiammabile e quindi molto deteriorabile, che deve essere conservata in locali tenuti a temperatura e umidità particolari. Per questo ho dovuto portarli in Francia e depositarli presso il Service des Archives du Film di Parigi, che mi rilascia — a pagamento — delle copie quando ne ho bisogno per i miei viaggi culturali, come questo ultimo in America Latina e quello precedente nel Nord Europa, ove sono stato per parlare del Film comico italiano e su Come nasce un film, ottenendo un ottimo successo.

— Pensa che Il Museo potrebbe avere anche una importanza turistica?

— Certamente; sarebbe un richiamo propagandistico non indifferente, data la sua importanza artistica e culturale che è, mi si lasci ripetere, ben superiore a quella di tante manifestazioni culturali programmate sulla nostra riviera. E poi, voglio concludere, non è forse un desiderio di tutti sapere che c’è un posto nel mondo dove si può ancora trovare il modo di ridere in maniera intelligente e dove ci si può documentare su quest’arte?

Amedeo Montemaggi
(il Resto del Carlino, Mercoledì 3 settembre 1975)

Il baratro 1912

Dai titoli di credito del film Il Baratro (1912) regia di Mario Bernardi
Dai titoli di credito del film Il Baratro (1912) regia di Mario Bernardi

A quanto pare, si tratta del primo film di produzione ferrarese, realizzato su pellicola Pathé dagli interpreti della Filodrammatica Estense. Il finanziatore del film era l’industriale di Copparo Arduino Cotti. Per girarlo, Sturla adoperò una macchina vecchissima, primitiva, priva di possibilità tecniche e con movimento a strappo: i risultati, però, furono considerati validi. Gli esterni furono girati in Darsena, in qualche strada della vecchia Ferrara e in campagna; per gli interni si utilizzò un cortile con fondali dipinti, mentre grandi lenzuola riflettevano e moltiplicavano la luce del sole. (Cfr. Paolo Micalizzi, relazione al Convegno di Ancona, 1981) Un ricordo di Antonio Sturla, figura di spicco del cinema ferrarese

Copia nitrato virata.

Regia di Mario Bernardi; soggetto dal dramma omonimo di Carlo Gamberoni; operatore Antonio Sturla; produzione Fratelli Roatto, Venezia.

Agata, moglie di Cirillo, un oste disonesto che con Marucco, Gennaro, Marco e Ambrogio si dedica ad un traffico di bottiglie di vino, entra spesso in contrasto con il marito che risponde brutalmente alle accorate suppliche di ritornare sulla retta via. Il figlio Andrea, che cerca di difendere la madre, viene cacciato di casa e deve così lasciare anche la cugina Lucia, di cui è innamorato. Trova ospitalità presso il buon papà Stefano, un vecchi pescatore che, dopo avergli dato un po’ di denaro, lo aiuta a fuggire lontano. Nel frattempo, dopo un ennesimo litigio, l’oste colpisce mortalmente la moglie con una bottiglia sotto gli occhi di Lucia. Intimando alla ragazza di non parlare dell’accaduto, simula un incidente.

Intanto Andrea se la passa male perché non riesce a trovare lavoro. Un giorno, sfinito dalla stanchezza e dalla fame, crolla a terra. Viene soccorso da due contadini che lo trasportano alla vicina fattoria. Quando arriva il padrone della fattoria, Andrea gli racconta quanto gli è successo e l’uomo, che prende subito a cuore la sua triste vicenda, dopo avergli offerto da bere, lo assume come giardiniere nella sua villa privata.

Passano due anni e Andrea, che sente nostalgia per il suo paese natio e per le persone care che ha lasciato, chiede al suo benefattore una licenza di dieci giorni per tornare a casa. La prima persona che incontra al paese è il buon papà Stefano che tuttavia non ha il coraggio di dirgli che molte cose sono cambiate. Ma ben presto Andrea viene a sapere della morte della madre e di un tale di nome Marucco che sta insidiando Lucia. Sprezzante del pericolo, e nonostante la ragazza cerchi invano di dissuaderlo, Andrea affronta Marucco in una lotta all’ultimo sangue dalla quale esce vincitore. Disperato per l’omicidio commesso, Andrea si rivolge ancora una volta a papà Stefano che gli offre la propria barca permettendogli di fuggire con Lucia verso una nuova vita.